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1 luglio 2012

Di Alberto in: Discussioni

Assiomi, 5. Il riuso dell’angoscia


Prosegue la serie degli Assiomi, leggibile anche sul sito Le parole e le cose.

 

  1. Sin dall’antichità, il tragico e il comico sono stati considerati espressioni di precise condizioni sociali: il superamento di entrambe queste categorie da parte di Dante è stato un atto rivoluzionario per poter ampliare all’infinito, nel Paradiso, il campo del dicibile in letteratura.
  2. Ma che il tragico e il comico costituiscano modalità condivisibili di rappresentazione dell’inconscio è chiaro almeno dalla svolta freudiana in poi.
  3. Al tragico moderno, non essendo possibile attribuire i conflitti a una lotta di tipo religioso, se non in senso lato, è stato attribuito lo scopo di reificare forme di angoscia altrimenti intollerabili.
  4. “Ultima metamorfosi dell’angoscia di fronte al Super-Io mi è sembrata l’angoscia di fronte alla morte (o di fronte alla vita), l’angoscia di fronte alla proiezione del Super-Io nelle forze del destino” (Freud, Inibizione, sintomo e angoscia).
  5. L’esibizione dei processi dell’angoscia, peraltro ancora ben poco chiari da un punto di vista clinico, ha comunque prodotto un loro depotenziamento: possiamo indicare cause ed effetti della fenomenologia dell’angoscia (traumi, sensi di colpa, fobie ecc.) senza che questo produca alcun tipo di maggiore conoscenza dell’interiorità.
  6. La letteratura continua a riusare le manifestazioni angosciose (o angoscianti) per ottenere un supplemento di senso: alcune forme di postmodernismo avevano preso atto di questo alibi, e avevano iniziato un processo di eliminazione del tragico con una superfetazione del comico-ludico-parodico. Ciò ha costituito una risposta debole a una richiesta forte di riformulazione del problema.
  7. Molte delle psicopatologie affrontate dalla psicanalisi si stanno rivelando non perenni ma storicamente circostanziate: perenne è invece l’implicita necessità di rendere significativo il proprio esistere prima della morte, a causa della consapevolezza di quell’esito.
  8. Una conoscenza più profonda della posizione dell’io nel mondo può derivare adesso dalla demistificazione delle mitologie consolatorie: l’arido vero, ora, è che nelle patologie del singolo non risiede alcun senso importante.
  9. Così, per estrapolazione, la ricerca di un senso da attribuire a eventi ingiustificabili, se avviene invocando complotti, poteri oscuri, forze del male ecc., appartiene alla mitologizzazione tranquillizzante. La moda del poliziesco, esplosa a partire dagli anni Settanta, si riduce a una secolarizzazione paranoica della quête per antonomasia, portando agli estremi un processo già intuito da Kracauer.
  10. Alla letteratura resta il compito di indagare l’angoscia inevitabile, quella biologica della fine come cessazione del movimento, ovvero come incompiutezza del proprio streben. Per fare questo, ovvero per continuare il suo compito più importante, ogni grande opera letteraria sarà portata a superare ogni fenomenologia parziale per interrogarsi sull’angoscia di fronte alla morte (o di fronte alla vita).

 

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