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1 ottobre 2012

Di Alberto in: Discussioni

Assiomi, 6. Concezioni dello stile


Prosegue la pubblicazione degli Assiomi, leggibili anche su Le parole e le cose.

 

1. Dalla svolta romantica in poi, lo stile è diventato il tratto distintivo di ogni opera artistica che aspirava a un riconoscimento duraturo. Il concetto non solo si è modificato, ma ha anche progressivamente pervaso le modalità di valutazione delle opere classiche, oggetto sin dall’antichità di giudizi basati su criteri retorici ed etici.

2. Nel XX secolo, la nozione dominante nell’ambito della stilistica letteraria (e l’analisi si potrebbe facilmente estendere) è stata quella dello scarto (écart). In realtà, più che una definizione quella di ‘scarto’ era la segnalazione di un problema: tra la realizzazione individuale di un testo (di qualunque tipo) e la sua matrice generale (ogni Langue) esiste uno iato non colmabile sulla base di regole. Ciò lascia spazio all’ermeneutica, sebbene non siano mancati i tentativi, specie da parte di Roman Jakobson e della sua scuola strutturalista, di ridurre al minimo quello iato (ma altrettanti sono stati quelli di enfatizzarlo, da Blanchot e Lacan in poi).

3. Oggi è possibile cominciare a riempire lo spazio dell’inventio stilistica grazie a una rimotivazione cognitiva tanto dei tratti formali quanto di quelli contenutistici che vanno a formare lo stile. In questa prospettiva, ogni creazione linguistica mobilita un’intera visione del mondo, che può andarsi a collocare nel già noto, oppure tentare di esprimere gli aspetti bio-culturali consci e inconsci che caratterizzano solo e soltanto una individualità.

4. Lo stile è un interfaccia tra mondo interiore e mondo esterno, che si fonda su un processo di attrazione, ovvero sull’uso orientato di elementi cognitivamente e/o culturalmente marcati.

5. Lo stile non è un semplice insieme di tratti formali: ogni stile riuscito deve costringere a riorganizzare la nostra percezione del mondo, così come fanno, a un livello basilare, le terzine di Dante o i periodi di Proust, che in questa prospettiva nascono come operazioni stilistiche.

6. La stilizzazione corrisponde a una delle modalità dell’appercezione.

7. Individualmente, lo stile è l’esito del tentativo di fissare in un ordine riconoscibile, ma non necessariamente regolare e razionale, il coacervo di esperienze ontogenetiche che si collocano nel nostro inconscio cognitivo. I motivi che inducono a quel tentativo riguardano la biografia (e spesso le patologie) del singolo, ma l’esito si colloca su un piano diverso rispetto all’occasione-spinta.

8. Collettivamente, lo stile è la garanzia dell’importanza ermeneutica di un’opera, sia dal lato dell’autore che da quello del lettore-fruitore.

9. Non si dà un’opera totalmente priva di stile, anche se esistono l’inerzia dell’inventio e la sclerotizzazione dei processi di produzione e ricezione delle opere.

10. Della stilizzazione, la moda è una versione momentaneamente iperattiva, perché incentrata sull’aspetto del nuovo in sé, ma di rapido decadimento. (L’avanguardia è la versione eretica della moda). Viceversa, al cuore dello stile duraturo si colloca una rielaborazione del punctum, il nesso inscindibile di biologia e cultura del singolo, e sua capacità di segnalare un quid significativo per tutti.

11. Parafrasando Wilde, si può affermare che la verità dell’arte è interamente e assolutamente una questione di stile, posto che la verità artistica è la più forte e ricca condensazione della filogenesi e dell’ontogenesi di un essere umano.

 

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