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1 dicembre 2013

Di Alberto in: Discussioni

Assiomi 8


Si pubblica qui un nuovo testo della serie degli Assiomi, in parte pubblicati anche su Le parole e le cose e su Puntocritico.

 

Assiomi 8. Sezionare i classici

 

  1. La nozione di ‘classico’ è attualmente associata ad alcuni campi semantici, solo in parte sovrapponibili: si parte dalla cultura classica, ossia greco-latina (ma ora anche ebraica, araba, cinese o indiana antica), si prosegue con l’opera classica, ossia degna di essere letta sui banchi di scuola, si arriva ai classici dei nostri giorni, ossia i prodotti artistici che hanno superato la soglia della notorietà per sola moda (un film di Hitchcock, una canzone dei Beatles, un dipinto di Picasso), e si giunge ad affermazioni di uso comune, come la prima che emerge in data odierna (19.10.2013) da una ricerca google: “Guarda i risultati delle estrazioni di Win for Life Classico sempre aggiornati in tempo reale”.
  2. Si può forse affermare che, nel periodo postromantico, la nozione di classico ha sempre più assunto la componente della stabilità, del valore discutibile solo a livello del gusto personale, ma non delle convenzioni sociali, del testo che attraversa i secoli perché riassume meglio di ogni altro la Weltanschauung di un’epoca e di una cultura. L’elemento di selezione ‘classista’, presente nella prima accezione del termine ai tempi di Aulo Gellio, è in realtà subordinato a quello della qualità eccezionale, che viene implicitamente riconosciuta persino nei riusi parodici di un classico (la Gioconda con i baffi ecc.).
  3. Nell’epoca della globalizzazione, tuttavia, la permanenza dei valori incarnati da un classico è stata considerata di per sé pericolosa, dato che quei valori, in molti casi, altro non erano che il condensato delle ideologie dominanti nelle società imperialiste e colonialiste, che hanno poi cercato di addomesticare quelle dei vinti rielaborandole a loro uso e consumo. Gli studi di E.W. Said, a partire da Orientalism (1978), hanno inciso fortemente nelle analisi degli studi culturali postcoloniali, e hanno spinto sia a una critica serrata dei presupposti occidentali della classicizzazione, sia a una richiesta di allargamento dei criteri estetici impiegati per la creazione di canoni artistici. Gli esiti sono già evidenti nel campo delle arti visive e in parte della musica, mentre sono più sfaccettati nell’ambito letterario, dove è più complessa la ricostruzione dello sfondo storico-culturale necessario per un’adeguata comprensione di un testo antico extra-occidentale.
  4. In questo contesto la funzionalità del concetto di classico sembra ridotta a quella di etichetta, più o meno giustificata, che segnala quanto meno la differenza dell’oggetto artistico in questione rispetto ai prodotti di consumo. Ma è assai dubbio che un classico oggi ‘dica di più’ rispetto a un’opera pienamente attiva nel presente: per esempio, nel campo letterario, né gli aspetti stilistici, spesso difficilmente individuabili nei testi antichi senza un’adeguata conoscenza delle lingue, né quelli contenutistici, spesso ridotti a temi generali e topoi, sono motivi sufficienti per giustificare lo sforzo ermeneutico richiesto da opere come le tragedie greche, il Gilgamesh o l’Eneide. È totalmente estranea alla nostra epoca l’idea umanistica del culto dei classici, ma anche quella, romantica e postromantica, della loro libera rivisitazione.
  5. Un nuovo umanesimo non può pensare il valore del classico in termini temporali (il “monumentum aere perennius”), né in termini quantitativi (l’opus magnum). Nell’epoca del politeismo culturale, ogni opera è destinata a una fruizione legata a un obiettivo, il divertimento o l’appagamento di una curiosità, oppure l’accrescimento culturale e la riflessione su opere tradizionalmente considerate significative. Il classico, in genere segnalato a livello scolastico, svolge la funzione di indicare, sempre più debolmente, le caratteristiche tipiche di una cultura, nazionale o transnazionale, di un periodo storico, di una corrente artistica ecc.: è quindi una sorta di stazione di servizio, cui si attinge per corroborare discorsi che possano fornire coordinate sul presente, senza però risultare in alcun modo fondativi, come avrebbero invece dovuto essere tutti i tipi di discorso sui classici sin dall’antichità.
  6. Questa serie di constatazioni oblitera tuttavia un elemento importante a livello sociologico: alcuni classici hanno assunto una funzione in ambito mondiale, diventando icone non solo di una cultura nazionale specifica, aspetto comunque ancora rilevante, bensì di un insieme di accertamenti sulla natura umana validi transculturalmente, se depurati delle marche storiche più caduche (le contrapposizioni religiose, le affermazioni razziste ecc.). Il fenomeno, del tutto pacifico a livello artistico e favorito da supermusei come il Louvre, è ormai evidente anche per la letteratura, dato che autori come Dante, Shakespeare, Cervantes e non molti altri sono entrati nel novero di quelli importanti nella formazione culturale di ogni paese del mondo: premi Nobel come Derek Walcott e Kenzaburo Oe leggono e citano Dante, a volte per aspetti poco considerati nelle sue infinite riletture italiane ed europee. Ma Dante è anche sufficientemente noto per essere citato in film, videogame, fumetti e in molti altri modi espressivi tipici della cultura pop in senso lato.
  7. Questo ulteriore dato spinge allora a una considerazione più generale: quali sono le motivazioni che possono ancora spingerci a usare, e largamente, la nozione di ‘classico’? Non basta, come è stato fatto anche di recente, invocare l’importanza della tradizione nell’assestamento degli orizzonti d’attesa e la ciclicità dei gusti, con prevalenza ora di opere formalmente più compiute, ora più spontanee (ingenue o sentimentali, di grado zero o meta letterarie ecc.). La componente della ricezione è senza dubbio decisiva per l’accreditare o meno nuovi classici, ma di per sé non spiega il possibile ritorno a quelli già affermati e poi, per un periodo, oscurati o poco considerati, come è avvenuto per esempio proprio a Dante e a Shakespeare.
  8. Bisogna riconoscere allora che i classici riescono a sintetizzare valori antropologico-cognitivi, che si concretizzano in una specifica dimensione e storica, e sono difficilmente interpretabili in maniera corretta al di fuori di essa, ma tuttavia possono essere confrontati con quelli manifestati in ogni altra cultura e in ogni altro tempo. Solo quelle opere che riescono a stilizzare valori di quel tipo sono in grado di superare la normale decadenza dell’interesse, una volta tramontata la moda del periodo storico in cui esse sono state create.
  9. Il classico è quindi quell’opera che, in qualunque periodo (anche ravvicinato), sia significativo benché/perché fuori moda, essendo in grado di costringerci a riconoscere valenze universalmente umane che non sono mai così evidenti come nell’esemplarità di un testo compiuto (letterario o artistico in genere). Il veicolo è l’elemento attrattore dello stile e della configurazione formale: il racconto del viaggio ultraterreno di Dante senza l’uso delle terzine non sarebbe lo stesso, perché quel sistema versale, ricorsivo e insieme narrativo, ci costringe a prendere atto che i più alti esiti dei destini umani (in una dimensione religiosa, la dannazione o la salvezza), sono sintetizzabili in poche parole e in scorci velocissimi, ma tenuti assieme da un ordine ineludibile.
  10. La capacità di fissare il transitorio è stata considerata, da Baudelaire in poi, la forza dell’opera d’arte nel mondo diventato merce (prima nazionale e ora globale). Ma il classico non fa solo questo: individua, nel transitorio, l’elemento biologico-cognitivo davvero rilevante e lo pone in evidenza. Per esempio, la ‘transitorietà’ è una nozione scomponibile in molte altre, da quella della veloce apparizione, decisiva per esempio nelle varie epifanie della letteratura novecentesca, a quella della scoperta della propria insoddisfazione, dovuta alla mancanza di un bene assoluto, ecc. Questi elementi possono essere ritrovati in nuce nei classici, e consentono la loro rilettura.
  11. Questa rilettura, per essere fruttuosa, dovrebbe spingere a un’opera di forte selezione a livello scolastico e di lettura diffusa. Individuare le pagine davvero rappresentative di un classico non vuol dire perdere di vista l’insieme (comunque recuperabile in vari modi), o proporre l’antologia come ‘fior fiore’, silloge di pagine esemplari ecc. Vuol dire invece sforzarsi di individuare i nuclei di senso che, nel nostro tempo come, diversamente, in qualunque altro, risultano decisivi per la genesi stessa di un’opera. È evidente che, al di là delle infinite interpretazioni già proposte, il canto di Ulisse è molto più che uno dei cento del poema dantesco: è in esso che le componenti essenziali per potersi fregiare del titolo di ‘uomini’, la virtù e la conoscenza, vengono a confliggere con un ordine divino che si manifesta qui quanto mai violento e oscuro, come un turbine che fa affondare una nave. Il viaggio di Dante sarà, in fondo, il tentativo di comprendere il senso ultimo di quell’ordine: un percorso cognitivo, tanto biologico che culturale, del tutto paragonabile a quello compiuto in forme continuamente variate (mistiche, agnostiche, atee…) sino ai nostri giorni.
  12. Leggere i classici oggi è ancora possibile e necessario per riconoscere il perenne nella storia, ma anche per comprendere quanto ancora resta da fare per rispondere alle domande inevitabili. I classici sono un segno di pienezza, ma hanno sempre al loro interno una carenza, che è la richiesta ultima di risposta ai lettori delle varie epoche.
  13. Al di là delle ideologie esplicitamente manifestate, da studiare con metodi storicisti, il classico che non finisce di dire quanto ha da dire è quello che ci permette, riletto cognitivamente, di rispondere ad alcuni perché censurati dai sistemi culturali dominanti.
  14. Il classico deve poter essere selezionato, trasformato, tradotto, parodiato, per completare le sinapsi che ha lasciato aperte.
  15. Nella sequenza delle opere d’arte non si dà progresso, come giustamente sosteneva Max Weber; è però necessaria una costante ri-valutazione, che consenta di collocare le più dense e ricche nel territorio del sapere necessario, ossia nella tradizione (peraltro da strappare, seguendo gli auspici di Benjamin, al suo perenne rischio di conformismo), sintesi delle inventiones e degli stili di lunga durata, e necessaria indipendentemente dai caratteri trasgressivi delle opere e delle poetiche.

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