Di Alberto in: Proposte

Romanzi di Finisterre 4


Capitolo su La battaglia di Farsalo da Alberto Casadei, Romanzi di Finisterre (Roma, Carocci, 2000). Per le indicazioni bibliografiche, si veda la categoria Discussioni

 

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L’ossessione e la storia:

La battaglia di Farsalo di Claude Simon

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1.1. La prima manifestazione esplicita del tema della “guerra vissuta”[1]  nella Bataille de Pharsale (1969; trad. it. La battaglia di Farsalo, 1987) è la seguente (BF, p. 25; cfr. p. 34 fr.):

 

non sapevo ancora che la morte se pure insanguinata… // dopo qualche giorno il terreno friabile zuppo della foresta era ridotto a una specie di fanghiglia nerastra in cui affondavi fino alla caviglia // …avesse quel colore grigio sporco [je ne savais pas encore que la mort même sanglante... // ...avait aussi cette couleur grisâtre sale].

 

Nel passo sono chiari i rinvii ad alcune opere precedenti di Simon, specie a La Route des Flandres (1960; trad. it. La strada delle Fiandre, 1962). Si veda ad esempio: «c’era tanto fango che ci si affondava dentro fino alle caviglie [...] passare le macchie rosse mogano ocra dei cavalli» (p. 5). Non occorre qui analizzarli in dettaglio, dato che essi confermano immediatamente l’appartenenza del nostro segmento alle vicende relative alla sgm[2]. Notiamo solo che l’io che ricorda non «sa ancora che la morte…» (cfr. p. 26): la BF sarà dedicata a questa presa di coscienza.

La connessione attraverso cui si arriva alla rievocazione della battaglia delle Fiandre è costituita da una breve citazione in corsivo, nella quale si parla dell’accampamento di Cesare a Farsalo: anche il ricordo sopra citato è legato a quello di un bivacco, e l’analogia tra i due referenti deve aver costituito la spinta al loro accostamento. La BF è costruita in gran parte mediante un montaggio di frammenti, che porta alla fusione di storia e autobiografia. Occorrerà analizzare in dettaglio i modi di questo processo testuale: in effetti, solo nella loro reciproca relazione i frammenti acquistano un senso altrimenti perduto.

Facciamo subito un esempio. Il bivacco dei soldati francesi nelle Fiandre è descritto con grande attenzione per gli aspetti cromatico-pittorici («mantelli equini [...] color mogano bronzo chiaro [...] e le tende color mogano i fumi del bivacco verticalmente azzurri un trombettiere s’esercitava mentre l’eco metallica delle note gialle», p. 25). Ma progressivamente sarà il grigio sporco a dominare le descrizioni con la sua valenza disforica, e in molti luoghi del testo la morte sarà contraddistinta da quel colore (cfr. par. 1.4). L’alternanza cromatica contraddistingue allora una polarità vita/morte: all’inizio, quando ricompaiono i colori accesi («l’elsa d’ottone delle sciabole era gialla proprio come le trombe»), poco oltre, a contrappunto, compare di nuovo il grigio («dal-l’altra parte dello stagno si vedeva un fortino grigiastro anch’esso con fessure nere occhi sotto la visiera di un elmetto un cranio grigio [...] più tardi quando ripassammo da prigionieri ne vidi uno esploso proprio come una melagrana matura la scorza di cemento sudicia di tracce nerastre»: cfr. pp. 25-6). In seguito, la presenza del grigio, ovvero del «senso della propria morte» che l’io narrante ha provato in battaglia, diventerà ossessiva (e un processo analogo avviene per molte delle ripetizioni che compaiono nella BF).

Ma la simbologia dell’elemento cromatico non è isolata, perché nella parte iniziale dell’opera la componente mortuaria domina esplicitamente: «Latino lingua morta [...]. Acque morte. Morto vivo [...] mortalmente triste [...] foglia morta [...] la morte nell’anima la pena di morte» (p. 12, corsivo nostro). E compare più volte anche quel «Non sapevo ancora [...]», che costituirà il réfrain di molte riapparizioni del tema della guerra, e che abbiamo già visto nella sua forma completa: «non sapevo ancora che la morte se pure insanguinata [...] avesse quel colore grigio sporco»[3]. Insomma, la convergenza di diversi frammenti verso un unico significato superiore costituisce la base per la strategia testuale di Simon. Se la guerra, la sgm, espressione più tipica della storia, ha provveduto a cancellare il significato dell’esistenza individuale, il recupero testuale del-l’autobiografia tende a ricomporlo, per quanto in modo straniato.

Sin d’ora rileviamo anche l’importanza del confronto diretto con le testimonianze scritte e ormai autorevoli delle vicende storiche, in particolare quella di Cesare relativa alla battaglia di Farsalo: il contrappunto con questa e con ogni tipo di narrazione storica ufficiale diventa in molte parti del testo determinante per la comprensione dell’esperienza della guerra vissuta dall’io-narrante (ma dovremmo dire: io-testuale), che intraprende il suo viaggio-indagine in Grecia per cercare di ricostruire un’impossibile verità[4].

 

1.2. Una nuova scena di guerra vissuta si legge alle pagine 47-8, introdotta da una frase in corsivo, che rimanda al Bellum civile (cfr. iii.93): «com’era stato ordinato loro caricarono tutti insieme e la massa degli arcieri si riversò la nostra cavalleria non resse all’attacco» (p. 46). Per analogia, scatta il ricordo-racconto della battaglia (p. 47):

 

Stessi clamori probabilmente diluirsi e derisori anche se a migliaia sotto il bianco cielo affannoso e quella mischia quel tumulto la confusione i nitriti il galoppo [...]. Poi lo [un cavallo] vidi impennato sopra di me chiaramente la testa occhio folle bianco dell’occhio dritta contro il cielo [...] ricordare immagini precise di cose improvvisamente immobili.

 

Lo stream, che domina tutta la Parte i della BF, diviene turbinoso, contraddistinto dallo stile nominale e dall’accostamento di sensazioni diversissime. Si nota, insieme, una nettezza pittorica che fa sì che i corpi in movimento veloce sembrino invece immobili (sulla dialettica di moto e stasi avremo modo di tornare).

Quando il tema della guerra si ripresenta (dopo un altro passo in corsivo: «con un colpo di spada così violento che la punta uscì fuori dalla nuca», p. 57; traduzione da Plutarco, cfr. pp. 195-6), la scena pare costituire una prosecuzione di quella precedente: «il cavallo sdraiato su un fianco a quattro zampe anch’io adesso per terra tentando di capire dov’era l’alto dov’era il basso e perfino se esisteva un alto e un basso» (p. 58). Lo spazio sembra sconvolto dalla battaglia, e così anche tutte le percezioni dell’io, che sente le sue membra come «di legno o di pietra piuttosto inamovibili come su quei pianeti dove peseremmo dieci volte venti volte di più», che scopre «la testa apparentemente intatta anche se credeva di ricordare che un attimo prima era scoppiata in mille pezzi», e che vede intorno a sé solo un campo di detriti «che la guerra che ogni battaglia sembrano generare in modo spontaneo» (p. 58)[5].

Più oltre (cfr. pp. 64-9), il tema della guerra vissuta viene ripresentato, dopo l’ennesima traduzione dal Bellum civile, con il réfrain «non sapevo ancora, non sapevo» (pp. 64-5; cfr. pp. 81-2 fr.)[6], réfrain che poi viene riproposto con variazioni, in un presente atemporale: «non so [...] non so bene [...] non so più». Questa volta “io” sta fuggendo a cavallo, ma all’improvviso viene disarcionato, e vede «il traino della mitragliatrice ribaltato sulle bestie e i serventi vale a dire ciò che si può vedere in un caso come questo un mucchio di rottami un braccio che sbucava da sotto la mano aperta in gesto di difesa come per fermare qualcosa [...]» (p. 65). Dopodiché, si mette a correre sulle rotaie ma, dice, «avevo l’impressione di correre senza muovermi» (p. 66; cfr. p. 82 fr.): è questa un’impressione che unisce vita e morte, che fa sì che lo scampato sia vivo e morto, mobile e immobile nello stesso tempo.

Ciò viene ribadito, implicitamente, nel seguito della narrazione, quando l’io, dopo essere stato «bersaglio come al poligono di tiro, come se fosse il coniglio» (p. 66), riprende a scappare verso un luogo tranquillo, ma incontra alla fine solo «immagini pietrificate» (p. 67). Anche qui mobilità e immobilità si fondono, e proprio a questo punto viene citato il titolo della Parte i della BF, ovvero il verso di Valéry «Achille immobile a lunghi passi» (p. 67; cfr. p. 84 fr.): l’ossimoro è divenuto realtà, nel ricordo della battaglia[7].

Dopo lo spazio, anche il tempo non ha più significato. Nella sua corsa folle l’io non si cura più delle ore né di quello che avviene intorno: vede solo scorrere sotto di lui le traversine di una ferrovia «come in un film al rallentatore» (p. 68), in una forma straniata e perturbante, sente solo i suoi organi interni sul punto di scoppiare. La scena è bloccata, e si chiude con il réfrain «non sapevo che la morte» (p. 69).

In questa Parte i, l’ultima riapparizione del nostro tema si trova alle pagine 75-6. Dapprima si ripropone il tempo tranquillo dell’accam-pamento, grazie ad una descrizione ancora piena di effetti cromatici, che però viene spezzata dal ritorno della frase «non sapevo ancora che la morte» (p. 76; cfr. p. 94 fr.). Ormai anche il lettore sa cosa segue a questo inizio idillico: la rotta del 1940, continuamente rivissuta. Il confronto con le situazioni descritte dagli storici ha portato a cogliere il perenne nell’individuale: l’esperienza del singolo è quella che già è stata compiuta e narrata da chi ha vissuto la battaglia di Farsalo. Tuttavia tra quella descrizione neutra e la violenza della lotta sperimentata e rivissuta nella memoria resta uno iato che, come vedremo meglio, solo la ricreazione testuale di un equivalente dell’Erlebnis può colmare.

 

1.3.1. Assolutamente essenziale è la prima sezione della Parte ii (Lessico, Lexique), dal titolo Battaglia (pp. 83-100; cfr. Bataille, pp. 101-22 fr.) Diminuisce l’incidenza della scrittura personale in stream, e si passa ad una forma impersonale, sebbene il nucleo autobiografico rimanga identico. La guerra viene tradotta testualmente attraverso la descrizione (rivelatrice di un interesse critico almeno in parte di tipo avanguardistico novecentesco) delle scene di battaglia dipinte da Piero della Francesca, Paolo Uccello, Pieter Bruegel, Nicolas Poussin[8].

Dopo un inizio in cui vengono descritti due grandi affreschi di Piero della Francesca, la Vittoria di Costantino su Massenzio e soprattutto la Battaglia di Eraclio e Cosroe (pp. 83-4)[9], cominciano a comparire parti in corsivo. Dapprima si tratta soprattutto di riferimenti agli storici della battaglia di Farsalo; ma poi, dopo che si è parlato di un ferito «a quattro zampe per terra», incomincia (p. 85) un nuovo stream: «mi domandavo se ero morto non soffrivo cercai di muovere gli arti senza riuscirci pesano centinaia di chili l’uno una tonnellata la mia testa tirata verso il suolo dal proprio peso come di piombo».

Si tratta di una chiara riscrittura di quanto già detto a pagina 58 (cfr. par. 1.2), e il motivo di questo inserto è che il guerriero ferito è rappresentato «a quattro zampe», cioè nella posizione in cui si era trovato l’io dopo la caduta da cavallo (cfr. anche p. 59: «sempre a quattro zampe [...] pesavo mille chili tonnellate»). Un elemento pittorico rinvia analogicamente ad un’angoscia: l’angoscia della propria “morte vissuta” si riproduce ad ogni livello del testo. L’io frammentato cerca di dare un senso alla sua esperienza, ossia di trovare un equivalente vero della sua quasi-morte. La “mobilità immobile” ha costituito la prima equazione (Parte i): tale rapporto verrà sempre meglio scandagliato grazie al confronto tra testo scritto e pittura, che esprime appunto il movimento nella fissità.

Il secondo quadro descritto è la Battaglia di S. Romano (o meglio, la sua parte conservata agli Uffizi) di Paolo Uccello (cfr. pp. 86-91). L’impiego dello stream è quasi immediato, ed è motivato dalla constatazione che, nel quadro, «forse il tempo è solo una nozione»: ecco perciò il ricordo della corsa senza tempo dopo la sconfitta (cfr. pp. 68-9 e 87):

 

non sapevo da quanto tempo stavo correndo, da ore mi sembrava da meno d’un minuto forse mi sembrava [...] che le rotaie la massicciata quelle traversine che mi venivano lentamente incontro sfilandomi sotto [...] emergessero da un nulla indistinto senza dimensioni nello spazio o nel tempo come quelle cose che si vedono nei sogni o negli incubi piuttosto spiccare su un fondo incerto da un’oscurità terrosa in cui correvo senza avanzare.

 

L’annullamento del tempo e dello spazio sono esplicitati al massimo, sulla scorta dell’impressione di oscurità terrosa generata dal quadro di Paolo Uccello, che viene poi descritto ulteriormente (e sarebbe interessante proporre un’analisi cromatica, che farebbe risultare forti analogie con la rappresentazione dell’accampamento, cfr. pp. 25-6). La fine di questa ripetizione dell’esperienza è ancora quella del correre senza avanzare, della mobilità immobile.

Nel seguito della descrizione-narrazione[10], alle pagine 90-1, viene a lungo sviluppato il catalogo delle rovine generate dalla battaglia (cfr. p. 58), che prende le mosse da un elemento molto evidente nel dipinto di Paolo Uccello, quello delle «armi spezzate» (p. 90). Le rovine della guerra sfilano sotto gli occhi dell’io «come su uno schermo uno scenario»: un’altra sensazione di straniamento, motivata da un chiaro turbamento psicologico (e si confronti l’immagine della corsa vista come «in un film al rallentatore», p. 68). La pittura insomma genera un effetto di déjà vu ovvero perturbante, che fa sì che il ricordo ritorni in forme spossessate e impersonali, pur essendo personalissimo: il procedimento, appena accennato nella Parte i, diviene sempre più evidente.

 

Questo procedimento è fondamentale per l’interpretazione della sgm nella BF: un’esperienza personale (per vari aspetti simile a quella narrata nel PJ) si trasforma a poco a poco in un elemento impersonale, entra a far parte di una legge storica, cioè della Storia. Si potrebbe sostenere che contro questa forma di alienazione, ma nella consapevolezza della sua ineluttabilità, Simon tenta di trovare un equivalente nella scrittura che riesca a ridare un senso a ciò che è stato provato dall’io nella battaglia delle Fiandre nel 1940 (ma anche da ogni “io” che è stato coinvolto in una battaglia). Lo scardinamento delle percezioni consuete dello spazio e del tempo viene quindi inserito in un processo più ampio, quello della ricostituzione testuale di un’esperienza di battaglia, cioè dell’esperienza più vicina alla morte che ogni individuo può compiere. E tale ricostituzione, capiamo dai passi ora in esame, viene ottenuta attraverso l’equiparazione straniata di elementi esteriori ed interiori, di referenti di realtà e di impressioni della coscienza, tasselli accostati in modo da uniformarsi ad un piano complessivo, in cui la storia e la biografia appaiono materiali sclerotizzati e però, proprio in conseguenza di ciò, costantemente riattualizzabili. Come l’immagine pittorica è deputata a rappresentare il movimento nella fissità, così il romanzo, in quanto somma di tessere scientemente avvicinate, deve giungere a rappresentare la narrazione della vita vissuta all’interno della narrazione storica ufficiale, e lo fa mettendole testualmente a confronto e contrasto.

Nel proseguimento della sezione si trova la descrizione di un quadro di Bruegel, la Battaglia tra Filistei e Israeliti (pp. 91-5), in virtù della quale viene rievocato il tumulto della fuga, analogo a quello rappresentato nel dipinto: «l’avanguardia continuando a rifluire gli altri incalzando da dietro tutti pigiati nel sentiero incassato molti furono calpestati è chiaro i cavalli con occhi folli la testa alta nitrire» (p. 93).

La totale commistione dei corpi, l’essere risucchiato in un vortice, in «inestricabili nodi di rettili aggrovigliati»: è il risultato di una rotta, nella quale «tutto [è] mischiato in un insieme per così dire cosmico, specie di maelström dove si torce il torrente metallico [delle armature]», e un singolo cavaliere appare come «un sughero sulle onde», prossimo al naufragio (cfr. pp. 93-4). L’interpretazione del quadro di Bruegel ci conduce sempre più lontano da un realismo i cui parametri siano fissati da una percezione sclerotizzata e tranquilla; e poco oltre si ribadisce che anche il tempo, come prima lo spazio, non contava più, durante e dopo la battaglia: «cosa potevano mai contare orologio ora mattino sera Giosuè [...] non riuscivo nemmeno a ricordare quand’era iniziato tutto questo» (pp. 94-5).

 

L’accenno a Giosuè e al miracolo biblico dell’arresto del sole apre la strada all’ultimo riferimento pittorico di questa sezione, che va a Poussin e a due suoi quadri: si tratta della Vittoria di Giosuè sugli Amorriti, già noto, ma anche della Battaglia di Giosuè contro gli Amaleciti, sinora non individuato (e che sicuramente è descritto alle pagine 97-8: cfr. Appendice). Qui si giunge al culmine della descrizione-rievocazione straniata della battaglia delle Fiandre: non a caso ritorna quasi per intero la frase-Leitmotiv che segnava tutta la Parte i: «non sapevo che la guerra fosse così sporca» (p. 95). In queste ultime pagine della sezione (pp. 95-100) cominciano a scomparire le differenze tra la descrizione dei dipinti e le rievocazioni, per cui sempre meno si può capire se il particolare di cui il testo parla è appunto rievocato o solo descritto. Siamo «nell’occhio stesso del maelström adesso» (p. 95), e niente è più separato: corpi, luce, ombra, spazio, tempo si fondono – così come l’esperienza dell’io (che si definisce esplicitamente «non più estraneo» alla descrizione, cfr. p. 95) e quella di un guerriero rappresentato da Poussin si fondono in un passo in corsivo (il corsivo era sinora riservato ai ricordi o alle citazioni): «l’ardiglione della fibbia d’ottone mi lacerò il palmo della mano non soffrivo [...] scoppi di rumore nella mia testa campana piena di disordine rabbioso Achille immobile Il guerriero [di Poussin] nudo a sinistra [...] la figura è presa da una composizione di Polidoro da Caravaggio» (p. 96; quest’ultima osservazione ritornerà più volte nel testo, anche come rinvio a questo passo: cfr. ad esempio pp. 166 e 201). È come se la descrizione fosse realizzata dall’interno del quadro: ad esempio, la visione di un cavallo ricorda quella già citata di pagina 47, e il cavallo del quadro appare «sospeso sopra di me» (p. 97: si noti il pronome).

Si giunge ai limiti estremi della biologia umana (ad esempio, «un grido ma senza suono», p. 97), che preludono ad un nuovo “ossimoro reale”, alla fusione del giallo del sole con il nero della notte: «giallo poi nero poi ancora il sole giallo sempre immobile fermo non c’è più ora niente mattino niente sera fermato il tempo niente ieri né anno scorso dieci anni fa oggi» (p. 97). Questa fusione di opposti, di giallo e di nero, giustifica un rapido ritorno all’inizio del testo («giallo poi nero poi ancora»: cfr. p. 5), che segnala una nuova forte analogia fra tutte le percezioni dell’io nella Parte i e quelle generate dalla guerra. Quando viene descritta la morte di un guerriero in Poussin, essa risulta indistinguibile da quelle viste in battaglia dall’io: si fondono descrizione del dipinto e frammenti di ricordi, già presenti nella Parte i ma qui ridotti a pezzi di un mosaico. Lo stream diventa pittura, il visibile coincide con il reale.

Si potrebbe obiettare che molti dei frammenti proposti non riguardano la guerra, bensì una scena di coito, che si connette al già citato tema della gelosia (cfr. par. 1.2). Ebbene, qui troviamo una prima motivazione per l’accostamento dei due temi: Poussin infatti è anche «Pittore di baccanali» e per lui «tanto il massacro quanto l’amore sono un pretesto per glorificare la forma il cui tranquillo splendore appare solo a chi ha penetrato l’indifferenza della natura di fronte al massacro e all’amore» (p. 98). Questa parte in corsivo, che pare una citazione di un saggio critico, potrebbe essere presa ad emblema dell’intera poetica di Claude Simon. Sono strettamente legati infatti due temi portanti della sua opera, il «massacro» della guerra e «l’amore», che nella BF appare quasi sempre sotto la forma del coito (con la sua violenza implicita) o della gelosia (che poi, come vedremo meglio, è un’altra forma di violenza). Una violenza in tutto simile a quella che contraddistingue ogni battaglia, i cui esiti sono completamente indifferenti nell’ordine naturale delle cose.

Il punto culminante è toccato nella parte conclusiva della sezione, a pagina 100 (cfr. pp. 121-2 fr.): la battaglia è un turbine («pugni alti da tutte le parti [...] intorno ai corpi turbinando [de tous côtés on voit des poings levés [...] autour de leurs corps tourbillonnant]»); la donna grida nel coito («adesso grida grida e basta ma non la sento gridare [maintenant elle ne fait plus que crier mais je ne l’entends pas crier]»); i combattenti sono immersi nella lotta:

 

hanno la bocca aperta quasi tutti gridano anch’essi probabilmente qualcuno di dolore qualche altro per eccitarsi al combattimento il tumulto ha raggiunto il punto in cui si fa inudibile [presque tous ont la bouche ouverte sans doute crient-ils aussi les uns de douleur les autres pour s’exciter au combat le tumulte est à ce point où l’on n’entend plus rien].

 

La violenza cresce in modo parossistico, fino alla coincidentia oppositorum. Perché questo è il risultato della descrizione-rievocazione della battaglia: ogni ricordo, benché straniato, è pur sempre marcato dalla quasi-morte e dalla violenza vissuta, che promana poi su ogni altra azione dell’io.

Se poi volessimo ripercorrere queste ultime pagine in termini musicali anziché pittorici, come il testo stesso invita a fare, potremmo dire che fondamentale, dopo l’ennesima ripresa del tema a pagina 95, è l’esplicitazione della nota dominante «ed io non più estraneo», che indica la presa di coscienza e il coinvolgimento diretto nella lotta (certo per il ricordo della battaglia vissuta). A pagina 97 si registra una ripresa della frase iniziale, di cui si fanno qui comprendere tutte le armoniche, e alle pagine 98-100, dopo questo re-inizio, tutti i temi della Parte i vengono ripresi e accumulati assieme agli elementi della descrizione dei quadri di Poussin, sino al parossismo. A pagina 99 comincia la stretta finale, con un accenno di re-inizio (una microripresa «Giallo poi…», subito proseguita da una variazione del tema iniziale «[forma di balestra nera poi ancora giallo accecante», cfr. ancora p. 5, e anche p. 31), che prelude invece al finale, al suono ormai non più distinguibile: «il tumulto ha raggiunto il punto in cui si fa inudibile» (p. 100). Giunto a un punto estremo il movimento si blocca, l’eccesso coincide con l’annul-lamento (si potrebbe trovare un procedimento simile nella parte finale dell’introduzione al Sacre du printemps di Stravinskij, com’è noto apprezzato da Simon).

Ormai sappiamo che la guerra è ovunque: ogni gesto, ogni azione può riportare al momento della battaglia chi vi ha vissuto la sua morte. I quadri non hanno solo una funzione mediatrice tra la realtà e il testo, ma anche una attiva, di aumento della conoscenza: ogni elemento della descrizione dovrebbe condurre il lettore a decifrare compiutamente la verità della guerra.

 

1.3.2. Dopo questo culmine, per un lungo tratto testuale gli accenni espliciti alla lotta bellica non sono molti (sebbene si colgano vari accenni ai quadri descritti nella sezione Battaglia), e ricompaiono gli altri temi della Parte i, che, come si è appena visto, risultano connessi a quello della guerra. Peraltro, nella sezione Viaggio, introdotto dagli echi fonici «TORIA» e «RRA» (p. 137; cfr. p. 166 fr.), che rievocano le parole «sparatoria» e «guerra» di un titolo di giornale, si trova un riferimento ad un dipinto di guerra sinora non individuato: si tratta del quadro di Alphonse de Neuville Les Dernières Cartouches (1872-73), celebrato e popolare, esempio della pittura militare pompier del secondo Ottocento (si veda qui Appendice). Simon lo critica soprattutto per il suo falso realismo: il quadro rappresenta infatti, all’interno di una casa, alcuni soldati «intenti a sparacchiare in pose realistiche, vale a dire come la gente s’immagina la realtà o forse a forza d’immaginarsela finisce col vederla» (p. 137). La guerra diventa, in una pittura così mediocre, una sorta di commedia borghese; la morte vissuta può essere nient’altro che una «ferita che non si vede» (p. 139). Una chiara dichiarazione di poetica, in cui, per dimostrare la superficialità di certo realismo ottocentesco, viene evidenziata l’incommensurabilità dell’esperienza della guerra con una scena che mostra solo una sorta di «disordine passeggero e limitato in un ordine la cui ossatura, le cui strutture principali continuano a esistere» (p. 138).

Nella stessa sezione, di grande importanza è anche un altro riferimento pittorico, che si coglie a pagina 145 («battaglia quale pittore tedesco davanti a un sipario di foglie verde scuro come pergamena ai piedi di rocce dirupate»; cfr. anche poco oltre: «maneggiare a due mani i pesanti spadoni»). Si allude al quadro di Lucas Cranach il vecchio La gelosia, che verrà descritto con minuzia più avanti (pp. 187-9: cfr. in particolare p. 187). È importante però il primo accenno perché introduce un tema che sarà dominante nella Parte iii, ossia quello della gelosia come forma di violenza: il quadro di Cranach, che unisce la rappresentazione di immagini evocanti l’amore con altre di lotta naturale (gli uomini sono nudi, segno della loro primitività), permette di intuire che un’identica violenza sottostà tanto all’amore quanto alla guerra.

 

1.4. Fin qui, nella rappresentazione della guerra vissuta e di tutti i suoi annessi sono stati preminenti gli aspetti visivo-spaziali e, insieme, psicologici. L’esatta ricostruzione temporale dell’episodio della battaglia vissuta si dovrebbe leggere nella Parte iii, in cui, secondo il titolo, si presenterebbe una Cronologia degli avvenimenti (pp. 155-225; Chronologie des événements, pp. 187-271 fr.)

Alla scena della guerra vissuta si torna alle pagine 184-6, in cui il protagonista è “O.”, ossia, in prima istanza, l’Observateur: è così chiamato il personaggio (ma sarebbe meglio dire l’attante) che compare in tutte le scene della Parte iii, e che corrisponde, come è stato notato da più critici, ad un soggetto universale, ad una sorta di Everyman. In queste pagine si riscontra, a prima vista, una sequenza di dati oggettivi, che avrebbe lo scopo di ricompattare quella, tutta soggettiva, della Parte i. Più esattamente, il testo sembra proporre una sorta di film muto, una serie di fotogrammi che comportano uno straniamento ancora più radicale di quelli sin qui individuati: tutti i gesti della battaglia sembrano non appartenere più ad un soggetto, pur essendo gli stessi compiuti e vissuti dall’io della Parte i. Ad esempio, la scena della morte del cavallo, prima così carica di pathos, risulta ridotta ad una concatenazione di immagini: «Uno dei cavalli da tiro ha il treno posteriore preso sotto al traino. Si dibatte furiosamente tentando di liberarsi. Una delle zampe anteriori disegna una V rovesciata, il gomito contro la terra, il ginocchio in alto lo zoccolo rivoltato battere convulsamente il suolo» (pp. 185-6).

La sequenza relativa alla guerra vissuta si lega strettamente alla descrizione di un coito (pp. 186-7), che si ripete numerose volte in questa Parte iii. Il legame con la scena di guerra è indicato nella parte dedicata al quadro di Cranach La gelosia (pp. 187-9), in cui vengono rappresentati duelli fra uomini nudi, finalizzati al possesso di alcune donne (cfr. par. 1.3.2). La lotta è violenta, ma «le donne sembrano indifferenti allo spettacolo, tranne una che, con la bocca aperta, pare gridare» (p. 188): quest’ultimo particolare rimanda al finale della sezione Battaglia («adesso grida grida e basta ma non la sento gridare hanno la bocca aperta», p. 100), e permette di legare le due scene sulla base della comune violenza[11]. Ma in generale il testo, in quanto sintesi di tasselli che conducono ossessivamente a comporre un insieme unitario, diventa risonanza di un’unica violenza ancestrale, che si esplicita tanto nel coito quanto nella lotta bellica.

 

La connessione tra le varie scene proposte nella Parte iii e quelle relative alla guerra vissuta si rinforza nel finale dell’opera. A pagina 215 comincia la descrizione di un’altra battaglia, questa volta però raffigurata in un nastro visivo-scultoreo, molto probabilmente quello del Partenone: «Scolpito nel marmo a tutto tondo un fregio di cavalieri al galoppo corre lungo un muro, in alto [...]. Il marmo è d’un colore grigio chiaro [...]. Le zampe veloci, nervose, si mischiano e incrociano rapidissime» (p. 215, corsivo nostro). E qui s’innesta una nuova, lunga sequenza della guerra vissuta («O. affonda gli speroni nei fianchi del suo cavallo e risale la collina al galoppo», pp. 215-6), che porta ad identificare O. con uno dei cavalieri scolpiti. L’intero passo (pp. 216-9), dove vengono narrati episodi sinora non noti della rotta del 1940, e dove ritornano vari elementi già conosciuti (la fuga, la campagna silenziosa, il sole che cala ecc.), sembra comunque una sorta di intermezzo: le azioni della battaglia vissuta sembrano in via di pietrificazione, mentre torna a proporsi la dialettica movimento-immobilità: «I cavalli si mettono al galoppo, ma sembrano più lenti di quand’erano al trotto, come se dondolassero in loco d’avanti indietro senza avanzare» (p. 218). Questi «cavalli al galoppo» preannunciano e, di fatto, vengono a identificarsi con quelli del nastro scultoreo, che vengono descritti subito dopo: «I cavalli al galoppo continuano a lottare per superarsi, e scuotono le criniere di pietra, rapiscono i loro cavalieri di pietra. Sono grigiastri, e si confondono nello spazio grigiastro, anch’esso di pietra, che li contiene» (p. 219, corsivo nostro).

 

La pietrificazione coincide con la morte. Il colore grigiastro, si ricorderà, è quello della prima apparizione del tema della guerra: «non sapevo ancora che la morte se pure insanguinata [...] avesse quel colore grigio sporco» (p. 25). È il colore che domina ormai in tutte le scene: anche i corpi dei due amanti «sono grigiastri e si confondono nello spazio grigiastro», perché sono anch’essi ormai scolpiti e «immobili come pietre» (p. 221)[12].

La ritraduzione testuale dell’esperienza della battaglia trova qui un suo esito compiuto. La legge dimostrata recita che ogni azione diviene immobilità. Siamo al finale di tutta la BF: attraverso il confronto tra la guerra vissuta, la guerra raffigurata e la scena d’amore si è raggiunta l’esplicitazione di una legge di entropia, che trova nella guerra stessa la sua massima espressione, a causa della perdita violenta di ogni energia[13]. Per altra via si arriva ancora alla coincidentia oppositorum.

Le ultime pagine (223-5; cfr. pp. 268-71 fr.) rappresentano O. intento a studiare e a scrivere («Sul dizionario, angolo destro della scrivania», p. 223), e, proprio in chiusura, l’inizio della sua opera si rivela identico a quello della BF: «O. scrive: Giallo e poi nero il tempo di battere le palpebre e poi di nuovo giallo» (p. 225; cfr. p. 5). La chiusura ad anello (che in realtà è anche un nuovo inizio) ha qui soprattutto lo scopo di far coincidere tutti i tempi rappresentati con l’unico tempo della scrittura, il presente. Il finale permette di identificare O. con lo scrittore, e questa trovata metanarrativa parrebbe sintetizzare i frammenti sinora analizzati: è O. che ha organizzato il testo, come un bricoleur, e ciò viene esplicitato in una metafora, quella dell’intarsio: «Tutti questi elementi sembrano incastrati uno dentro l’altro, come un intarsio [Tous ces éléments semblent encanstrés les uns dans les autres, comme une marqueterie]» (p. 224; cfr. p. 270 fr.)[14].

 

Il romanzo ritorna al suo inizio come scrittura (cfr. pp. 31, 99 ecc.). Manca però la ragione della costruzione testuale. E allora occorre notare che lo scrittore O. alla fine osserva «una cartolina» (p. 223), che raffigura un particolare dell’affresco di Piero. È questa immagine che permette di introdurre la metafora dell’intarsio. È questa immagine che, nel modo più distaccato e astratto, torna ad introdurre il tema della guerra. È questa immagine che fa ricordare, ad O. come ad ogni lettore, che nella BF la guerra sta dietro ogni immagine (e dietro la loro “testualizzazione”: cfr. par. 3).

 

La Parte iii dovrebbe proporre una comprensione perfetta, un’e-satta Cronologia degli avvenimenti: ma essa è raggiungibile solo quando si esplicita l’entropia, come avverte la citazione iniziale da Heidegger: «Uno strumento sembra danneggiato, dei materiali sembrano inadeguati… È in questo scoprire l’inutilizzabile che lo strumento s’impone improvvisamente all’attenzione» (p. 155). La guerra rende ogni cosa inservibile, e pertanto garantisce la comprensione del mondo. D’altro canto, la Parte iii dimostra definitivamente che gli elementi della guerra (vissuta e rappresentata) si fondono, e si riflettono su ogni ricordo o azione di O.

 

Si riscontra un crescendo fra le tre parti della BF, e la terza può essere considerata un’illustrazione del processo che conduce allo svuotarsi dell’energia e alla fine del movimento, proprio quando esso è giunto al suo culmine. La vera conclusione dell’opera sta nella scoperta della metaforica equivalenza tra l’Erlebnis della guerra, della violenza vissuta nella rotta del 1940 e sempre rivissuta, e l’immobilità statuaria del fregio del Partenone.

 

1.5.1. Qualche ulteriore considerazione d’insieme. Il motivo della guerra vissuta pare confondersi con i numerosissimi altri che la BF propone sin dalle prime pagine: la descrizione iniziale del volo di un piccione (tassello ricorrente in Le Palace, 1962); la scena ad un caffè; le immagini infernali dell’uscita dal metró; le foto e i “fantasmi” nella casa dello zio (situazione ripresa da Histoire); la traduzione di un brano di Cesare (ancora Histoire); il viaggio in Grecia alla ricerca dei luoghi della battaglia di Farsalo (si vedano, per il motivo del sopralluogo, sia Le Palace sia Histoire); ecc. Tuttavia, l’inizio del romanzo costituisce una sorta di approssimazione progressiva al tema della morte, annunciato da quasi tutti gli elementi che compongono il tessuto di queste pagine: ad esempio, il piccione in volo viene paragonato ad una balestra, e ciò induce a ricordare una scena di guerra e la morte di un soldato: l’aspetto della metaforicità bellica è molto presente in tutta la BF, e non fa che sottolineare l’ossessione della guerra vissuta. Del resto, l’esplicitazione non tarda a venire: «Per molto tempo dopo la sua morte la morte era per me» (p. 11); ed anche il nucleo narrativo della traduzione da Cesare e del sopralluogo a Farsalo ha soprattutto la funzione di far intersecare la guerra raccontata con la guerra vissuta, appunto sulla base di un’iterazione ossessiva della lotta e della morte.

Si è detto «iterazione ossessiva», ed in effetti Simon la applica non solo per i Leitmotive come quelli citati, ma anche per altre immagini situazioni che si legano al tema della guerra vissuta. È possibile esemplificare quest’affermazione attraverso l’analisi delle ricorrenze di un elemento pittorico (o meglio grafico-visivo), la V rovesciata. Nella sezione Battaglia si legge: «il cavallo tenta di rialzarsi, dibattendosi, torcendo l’incollatura all’indietro come per vedere anch’egli ciò che lo sta schiacciando, una delle zampe anteriori disegnava una V rovesciata» (p. 97; cfr. p. 119 fr.): dove non è più chiaro se si sta descrivendo un dipinto o una scena della guerra vissuta (cfr. pp. 47 e 65). Un passo successivo fa propendere per la seconda ipotesi: «Uno dei cavalli da tiro ha il treno posteriore preso sotto al traino. Si dibatte furiosamente tentando di liberarsi. Una delle zampe anteriori disegna una V rovesciata» (p. 185; cfr. par. 1.4). E un legame con la guerra vissuta viene confermato da un confronto con la Strada delle Fiandre: «l’asse degli stivali stando a disegnare la base di un V rovesciato nell’apertura del quale, dall’altra parte della strada, il cavallo morto appariva e scompariva fra le ruote dei camion» (p. 193): sia pure in modo diverso, compaiono l’elemento visivo della V e il cavallo morto (che viene menzionato assai di frequente nella Strada delle Fiandre).

Ma l’immagine della V rovesciata torna in molti altri punti della BF, non riferita direttamente alla guerra vissuta (cfr. ad esempio pp. 17, 30, 63-4, 161-2, 172, 196). In tutte le scene descritte, in tutti i ricordi del protagonista può esserci uno stimolo a ricordare quella V rovesciata, immagine-emblema della guerra e della morte che è rimasta impressa nel fondo della memoria, e che continua ad angosciare.

 

1.5.2. L’organizzazione complessiva della BF è stata assai analizzata, specie riguardo ai vari tipi di tecnica narrativa, ai cambiamenti del punto di vista, all’impiego delle citazioni ecc.[15]; in particolare, è stata giustamente notata la compresenza di una focalizzazione soggettiva e di una oggettiva, che contribuisce a generare non una mimesis, bensì una produzione testuale di senso. Ma occorre ancora una volta rilevare come tutto questo sia legato al tema della guerra, cioè come la struttura sia funzionale al rappresentare la condizione di chi ha provato il “senso della propria morte” (cfr., in specie, BF, p. 195).

Un esempio. La prima parte della BF viene scritta per lo più in stream: l’uso di una forma di narrazione personale sarebbe analogo a quello dei precedenti romanzi di Simon, fra cui La strada delle Fiandre, dove peraltro lo stream personale si confonde in una narrazione fluviale (con personaggi ben delineati)[16]. L’uso dello stream nella BF si rifà mol-to più a Faulkner che a Joyce: è di tipo tragico (un disperato tentativo di recuperare frammenti di memoria incoerenti), piuttosto che ironico (il vagare dei pensieri nel pre-conscio). Questo drammatico vortice di situazioni-ricordi, tutti compresenti, tutti rivissuti nel momento della scrittura, trova motivazione nella profonda angoscia del sopravvissuto, suggerita costantemente dal Leitmotiv «Io non sapevo…»: tale condizione viene confrontata con le altre, e la guerra vissuta costituisce un elemento essenziale nella vita di questo io-stream.

Un altro esempio. La tecnica fondamentale per l’organizzazione della BF, quella del montaggio[17], si accompagna ad una serie di figure retoriche precise, prima fra tutte la ripetizione-accumulazione, che va considerata la dominante compositiva. Le scene di guerra (in ogni forma: reale, dipinta, metaforica ecc.) costituiscono la base principale di tale ripetizione, e quindi risultano accostate a tutte le altre: anzi, proprio la tecnica del montaggio riesce a rendere così pervasiva la presenza dell’immaginario bellico, ampliandone a dismisura i confini e gli effetti.

L’intera struttura pare finalizzata a creare un’ossessione equivalente a quella generata dalla partecipazione della battaglia delle Fiandre. Al di là dei ritorni espliciti del tema della guerra vissuta, le connessioni fra i vari altri temi permettono di trovare punti di contatto che riconducono all’esperienza della sgm.

La rivisitazione della realtà vissuta è dunque sottoposta da Simon ad un processo di straniamento, per ottenere un’oggettivazione superiore dei frammenti della memoria soggettiva. La formula della “metafisica del realismo” pare qui particolarmente appropriata, perché la traduzione che il romanzo opera dall’Erlebnis alla forma testuale è tutta volta a ricostruire la profondità dell’avvenimento, in contrasto con la storia ufficiale (di cui peraltro si riproducono talune movenze, al limite come citazioni), che bada alla superficie e all’estensione. Il procedimento del montaggio trova perciò una giustificazione, non in quanto semplice accumulo incoerente, ma in quanto tentativo di ricostruzione di un mosaico, in cui il non-senso della battaglia delle Fiandre vissuta da Claude Simon trovi una funzionalità testuale, senza essere depauperato della sua intrinseca drammaticità.

 

2.  La BF è dunque una delle opere in cui più fortemente emerge il problema di come “rendere testo” la guerra. Simon sceglie di impiegare i procedimenti di perdita delle coordinate temporali e spaziali, propri del Nouveau Roman, per dare una nuova forma di oggettivazione all’e-sperienza vissuta della sgm. Tuttavia, la “testualizzazione” non diviene mai completamente astratta: l’Erlebnis, potenziata e resa universale nel testo, costituisce sempre un inveramento della scrittura. Prima di chiarire questo punto, esaminiamo in breve come il problema della rappresentazione della guerra vissuta viene risolto in altri romanzi del nostro autore.

Simon ha detto che dopo L’Herbe (1958) i suoi romanzi «sont devenus pratiquement “autobiographiques”» (intervista a “Les Nouvelles”, 15-21 mars 1984). Ha anche detto, nel suo Problèmes que posent le roman et l’écriture, che «l’art véritable est toujours étroitement lié à l’Histoire» (p. 8). Qui è necessaria una postilla. Il senso della frase, nel contesto, risulta il seguente: occorre dar credito ad ogni tipo di arte vera, qualunque sia il suo argomento; ma poco sopra, lo scrittore aveva affermato che un radicale cambiamento nell’arte è stato introdotto dopo «le tréfonds de l’horreur qu’a révelé le deuxième conflit mondial» (p. 7), e ciò «en dépit de sa civilisation» (ibid.): questa è la motivazione al cercare «autre chose» che caratterizza l’arte post-sgm, e non solo la letteratura, ma anche la pittura (con il primordiale e il concreto). La “verità” dell’opera di Simon sta appunto nell’affrontare costantemente la rappresentazione testuale dell’autobiografia e della storia (cfr. Dällenbach, 1988).

Riguardo al tema della guerra vissuta, la Strada e la BF sono, come si è detto, equiparabili dal punto di vista autobiografico, ma non lo sono dal punto di vista narrativo: la narrazione fluviale, interrotta peraltro dall’inserimento di dialoghi, rende la Strada un romanzo che racconta della sgm. BF è invece l’esperienza della guerra che si fa scrittura-romanzo, in cui l’io viene ad equivalere a tutti[18].

Importanti indicazioni su Histoire vengono da Starobinski (1987): l’opera va letta come «précaire et monumentale reconstruction d’un moi vivant à partir de ses ruines» (p. 32). Essa presenta nel finale una sorta di entropia, così come la BF; tuttavia, il montaggio riguarda ricordi omogenei, legati all’infanzia e alla pgm. Non si riscontra in Histoire, che pure per tanti versi costituisce un antecedente della BF, uno straniamento e una spersonalizzazione della memoria, ma solo un’accen-tuata sincronizzazione dei piani temporali.

Sempre dal punto di vista della guerra vissuta si potrebbe analizzare un romanzo successivo alla BF, L’Acacia (1989; trad. it. 1994). Il racconto, che propone in più punti un’altra rievocazione della rotta del 1940[19], si mostra intimamente continuo, nonostante i salti cronologici fra la pgm e la sgm: gli episodi della guerra sono cioè calati in un continuum che è quello del tempo naturale-geologico, della ripetizione senza fine; ma in tal modo si perde il senso dell’assolutezza dell’evento. Molto diversa era la situazione della BF, in cui la discontinuità del montaggio produceva ossessione, proprio perché creava un ritorno non prevedibile delle immagini della guerra[20].

 

3.  Semplificando non poco, potremmo affermare che, nel suo insieme, la poetica del Nouveau Roman forniva a Simon, che pure a quel movimento di fatto non appartiene, alcuni strumenti per la sua rappresentazione della sgm. Cerchiamo di focalizzare alcuni punti per noi essenziali[21].

Partiamo da una breve trattazione teorica sul rapporto tra elementi intra ed extratestuali. Già la Sarraute nei suoi testi di poetica (e in specie nell’ère du soupçon) poneva in rilievo la necessità di rinnovare il rapporto tra gli elementi romanzeschi e quelli dei fatti “veri”. Il problema della rappresentazione dell’esterno (del “reale”) è poi ben presente a Ricardou, che, in un colloquio a Cerisy-la-Salle del 1971, parlò dell’Ex-spression-Répresentation e della Production come forme caratteristiche ri-spettivamente dell’Epoca romantica e di quella moderna: il Nouveau Roman propone la scrittura «produttrice di senso» come forza di per sé oppositiva al regime delle lingue pre-disposte; di qui l’idea di una scrittura autonoma dal mondo esterno, che consente di evitare gli schematismi ideologici, solo che descriva: «les choses sont là» è pur sempre il motto degli scrittori del movimento, a partire da Robbe-Grillet[22]. Ma, come è stato notato da più parti, il procedimento di produzione scritturale viene progressivamente feticizzato, e la teoria del Nouveau Roman sarebbe rimasta di fatto subalterna al meccanismo reale di produzione del lavoro.

 

Per Simon, che, come abbiamo già detto, crede che «l’art véritable est toujours étroitement lié à l’Histoire», il montaggio, la descrizione, i procedimenti di astrazione sono i mezzi e non il fine della narrazione: resta, specie nella BF, una tensione fra soggetto e oggetto, senza la quale, si potrebbe ripetere con Adorno, non si dà arte. Gli elementi del collage testuale servono ad una rappresentazione dell’esterno, dell’auto-biografia, della guerra vissuta. Rispetto ad esempio a La Jalousie di Robbe-Grillet, nella BF si riscontra un montaggio molto più complesso: si rinuncia ad una focalizzazione esterna fissa, e, soprattutto, si accetta l’eterogeneità dei materiali, che non abdicano alla loro referenzialità pur essendo trattati come testo. Il romanzo di Simon non è un esercizio altamente intellettuale, bensì una macchina da sforzo: l’(au-to)biografia e la storia devono continuare ad essere, come nel grande romanzo otto-novecentesco, la sostanza del testo, ma devono anche divenirne la forma interna, proprio perché sono ormai trattate come materiali inerti che devono riconquistare un senso, e non come soggetti di una narrazione di per sé portatrice di significato. Ecco perché il montaggio simoniano di frammenti straniati di Erlebnis e di storia non è, almeno nella BF, puro meccanismo, ma un equivalente testuale della frammentazione del mondo, così come la si coglie dopo aver vissuto la propria morte[23].

 

Chiariti questi punti, confrontiamoci con le osservazioni di Jameson (1991, pp. 131-53) sulla presenza di elementi moderni e postmoderni in Simon, le quali permettono di storicizzare meglio il ruolo del Nouveau Roman nell’evoluzione letteraria del secondo Novecento. È giusto sottolineare che la compresenza di un tipo di rappresentazione personale e di uno impersonale è postmoderna: non si ha più, in specie nei Corps conducteurs, un soggetto pieno, che compie un’analisi fenomenologico-modernista finalizzata alla costruzione di un proprio mondo (come avveniva in Faulkner), ma un soggetto vuoto, che abbraccia stili già dati. Nella BF si riscontra il passaggio dall’uno all’altro di questi soggetti: la rappresentazione della guerra, che era nella Parte i legata soprattutto al ricordo personale, diviene poi, a partire dalla sezione Battaglia, mediata e universale. Tuttavia, la tendenza a testualizzare la sgm si scontra con l’ossessività del ricordo. Non si ha mai, nella BF, una totale equiparazione di realtà e scrittura, nonostante varie indicazioni in questo senso: la “testualizzazione” della guerra resta, di fatto, un problema e non un’acquisizione pacifica e semplificatoria. Ciò fa sì che il procedimento non risulti intellettualistico e sia adeguato all’universalizzazione del-l’Erlebnis[24].

 

4.  La BF rappresenta la sgm come ossessione nel testo. Essa risulta un referente ineludibile: dietro ogni gesto, si giunge a riconoscere una possibile riapparizione delle scene della guerra vissuta. L’autobiografia in BF si rivela antilirica, oggettivata in modo straniante, ma resa anche eccezionale: ad esempio, il vedere la propria guerra vissuta attraverso i grandi dipinti descritti implica sì uno straniamento, ma anche un potenziamento dell’esperienza. Domina l’angoscia della morte sperimentata, ma chi ricorda la battaglia non è più una voce singola, bensì un Everyman. Con il montaggio ossessivo, la sgm non rimane l’esperienza di un singolo (o di singoli), come nella Strada delle Fiandre, ma diviene parte di ogni biografia.

Nella BF, la biologia e la biografia del singolo diventano una memoria continua e assoluta della morte vista: tutti gli eventi sembrano un unico evento, in una ripetizione costante. Tale è la condizione derivata dalla sgm: una condizione perenne, che non è più consentito abbandonare, perché il senso della propria morte, una volta che lo si è provato, non è annullabile. La ripetizione potenzia all’infinito gli effetti ossessivi del testo; l’ossimoro (movimento = immobilità, suono abnorme = silenzio ecc.), conduce, nel tassello più importante del mosaico (ossia la sezione Battaglia), alla coincidentia oppositorum, che sarà anche la conclusione dell’intera BF. La pietrificazione ovvero l’entropia sono le leggi che regolano il mondo, e che nella Parte iii trovano, sulla base dell’e-sperienza della guerra, la loro piena dimostrazione.

Risulta infine necessario tornare a porre in evidenza l’uso della narrazione storica e delle sue forme, attuato nella BF. La frantumazione delle false certezze è il compito ultimo di questa narrazione, in opposizione alla storia ufficiale, interessata a categorizzare e a generalizzare. Viceversa l’esperienza dell’io è fondamentale nel romanzo di Simon, perché solo attraverso di essa, testualizzata, si può proporre il senso ultimo di una battaglia, ossia il suo violento non-senso.

 

 

Appendice

 

Sebbene il rapporto tra la Bataille de Pharsale e le arti figurative sia già stato sondato da Jean Rousset (1981) e da un’attenta studiosa come Else Jongeneel (1991), c’è ancora modo di puntualizzare alcune questioni e si possono effettuare alcune scoperte.

Partiamo dalle puntualizzazioni. La sezione del testo in cui più cospicui sono i riferimenti alla pittura è certo la seconda (Lexique), e in specie il suo capitolo iniziale Bataille, che, sin dal titolo, appare d’im-portanza capitale per l’intero libro. Come si è detto, questo capitolo risulta in buona parte composto da descrizioni di celebri quadri di battaglie, i cui autori sono indicati dallo stesso Simon in vari punti (ad esempio pp. 132 e 141-2; cfr. pp. 160 e 171-2 fr.): si tratta di Piero della Francesca, Paolo Uccello, Pieter Bruegel, Nicolas Poussin. I dipinti descritti sarebbero, secondo gli studi citati, rispettivamente La battaglia di Eraclio e Cosroe (Arezzo, Chiesa di S. Francesco); La battaglia di San Romano (Firenze, Uffizi); La battaglia tra Filistei e Israeliti (Vienna, Kunst-historisches Museum); La vittoria di Giosuè sugli Amorriti (Mosca, Museo Puškin).

Ma, a ben guardare, altri sono i dipinti almeno in parte descritti. All’inizio del capitolo (pp. 83-4; cfr. pp. 101-2 fr.) ci si sofferma a lungo sulle nubi che punteggiano un cielo mattutino («Bel tempo. [...]. Qualche nuvola sfilacciata è sospesa o meglio vagabonda qua e là, come isole di un arcipelago [...]. Le sfrangiature lunghe… [Il fait beau. [...]. Des nuages étirés sont suspendus ou plutôt flottent çà et là, comme les îles d’un archipel [...]. Leurs formes aux dentellures allongées…]»); più oltre, si parla invece di alberi («neanche una bava agitare i rami rigidi degli alberi  [aucun souffle n’agitant les branches rigides des arbres]»).

Ora, questi particolari o non si ritrovano (gli alberi) o non sono troppo appariscenti (le nubi) nella Battaglia di Eraclio e Cosroe, mentre sono evidenti nell’altra grande scena di guerra dipinta da Piero ad Arezzo, cioè la Vittoria di Costantino su Massenzio. Di quest’ultima vengono descritti soltanto questi elementi perché il resto dell’opera risulta, com’è noto, molto deteriorato; essi servono comunque a simulare delle coordinate spazio-temporali, che saranno sempre indicate da Simon anche nelle descrizioni successive.

Non c’è molto da aggiungere per quanto riguarda Paolo Uccello e Bruegel: si può solo specificare che, del cosiddetto Trittico di San Romano[25], solo la parte conservata agli Uffizi (Disarcionamento di Bernardino della Ciarda) risulta chiaramente descritta (pp. 86-91; cfr. pp. 105-12 fr.), mentre non si riscontrano riferimenti indiscutibili alle altre due, Niccolò da Tolentino alla testa dei Fiorentini (Londra, National Gallery) e Intervento di Micheletto da Cotignola (Parigi, Louvre).

Viceversa, una nuova puntualizzazione può essere fatta riguardo la presenza di Poussin. Infatti, se dapprima (pp. 95-7; cfr. pp. 116-8 fr.)  viene descritto il dipinto già individuato (La vittoria di Giosuè sugli Amorriti), in seguito (pp. 97-100; cfr. pp. 119-22 fr.) si fa anche riferimento ad un altro quadro del pittore francese, La battaglia di Giosuè contro gli Amaleciti, conservato all’Ermitage di San Pietroburgo[26]. In particolare, la descrizione di un morente («adesso cade; com’era intuibile dalla sua posizione una delle mani proiettate in avanti tocca già la polvere [maintenant il tombe; comme le lassait prévoir sa position précédente une de ses mains projetée en avant de lui touche déjà la poussière]», p. 97; cfr. p. 118 fr.), e la descrizione di un gigante («un gigante barbuto solleva a due mani sopra la testa un blocco di roccia (per finirlo forse?) i muscoli delle braccia gonfi [un géant barbu élève à deux mains au-dessus de sa tête un quartier de roche (peut-être pour l’achever?) les muscles de ses bras gonflés]», p. 98; cfr. p. 120 fr.) dipendono senza dubbio da questo secondo dipinto.

Un’ultima precisazione può riguardare una descrizione contenuta in un altro capitolo della stessa sezione, Voyage, in cui si parla (p. 145; cfr. p. 176 fr.) di «battaglia quale pittore tedesco davanti a un sipario di foglie verde scuro come pergamena ai piedi di rocce dirupate [bataille quel peintre allemand devant des feuillages vert noir cartonneux au pied de rochers escarpés]»: questo particolare rinvia non ad un dipinto di Altdorfer, come è stato ipotizzato, ma allo sfondo di un quadro più volte citato nel testo, cioè La gelosia di Lucas Cranach (Londra, National Gallery).

Venendo ora alle aggiunte, si può partire da un’acquisizione probabile. Proprio all’inizio dell’opera (p. 5; cfr. pp. 9-10 fr.) si parla di un

 

quadro visto dove? battaglia navale tra veneziani e genovesi sopra un mare nerazzurro crestato spinoso e da una galera all’altra l’arco impennato ronzante nel cielo scuro uno dei quali [dardi] penetra nella sua bocca aperta… [tableau vu où? combat naval entre Vénitiens et Génois sur une mer bleu-noir crêtelée épineuse et d’une galère à l’autre l’arche empennée bourdonnante dans le ciel obscur l’un d’eux pénétrant dans sa bouche ouverte...].

 

La descrizione è molto meno minuziosa che non nei casi precedenti: fra l’altro viene segnalata un’incertezza riguardo la collocazione del quadro («tableau vu où?»). Comunque, alcune corrispondenze possono essere trovate con un dipinto collocato sul soffitto della Sala dello Scrutino, nel Palazzo Ducale di Venezia. Si tratta di I Veneziani sconfiggono i Genovesi a Trapani di Camillo Ballini, in cui compaiono quasi tutti i particolari citati nel testo. Tuttavia, bisogna riconoscere, l’identifica-zione non è sicura[27].

Assolutamente sicura, e molto più importante, è un’ultima agnizione, riguardante ancora la sezione Lexique, e ancora il capitolo Voyage. Qui è esplicitamente citato il titolo, Les Dernières Cartouches, di un dipinto di Alphonse de Neuville, pittore pompier, specializzato in scene di battaglie ottocentesche, del quale questa costituisce una delle opere più famose[28]. La descrizione del quadro (pp. 137-9; cfr. pp. 166-9 fr.) è accurata, e condotta in maniera contrastiva con le descrizioni precedenti («altra rappresentazione allora. Le Ultime Cartucce. Sempre messa in scena ma non più limitata al semplice diedro formato dal fondale e dalle tavole del palcoscenico [...]. Spazio cintato invece, scena chiusa… [autre répresentation alors. Les Dernières Cartouches. Mise en scène toujours mais maintenant ne se contentant plus du simple dièdre formé par la toile de fond et le plancher [...]. Espace clos au contraire, décor fermé…]», p. 137; cfr. p. 166 fr.).

Evidente è la vis polemica che emerge in molti punti. La descrizione di un quadro naturalista costituisce infatti per Simon l’occasione per stigmatizzare ogni forma di realismo che sia mera riproduzione sclerotizzata della realtà “come si vede”, «vale a dire come la gente s’immagina la realtà o forse a forza d’immaginarsela finisce col vederla [c’est-à-dire comme les gens imaginent la réalité ou peut-être à force de l’imaginer finissent par la voir]» (p. 137; cfr. pp. 166-7 fr.). La banalizzazione della guerra, ridotta a vicenda che si svolge in un interno borghese, «intrusione d’un disordine passeggero e limitato in un ordine la cui ossatura, le cui strutture principali continuano ad esistere… [intrusion d’un désordre passager et limité dans un ordre dont l’ossature, les structures principales subsistent toujours...]» (p. 138; cfr. p. 167 fr.), fornisce una riprova della superficialità connessa al realismo di maniera.

 

Note

 



[1]. Si usa questa formula per semplicità, anche se constateremo che guerra vissuta ed elaborazione testuale si sovrappongono: come osserva Rousset (1981): «[nella BF] la guerre est partout, de la première page avec ses ramiers producteurs de métaphores: flèche, arbalète [...] jusqu’à la séquence finale» (p. 1209). Inutile ricordare che Simon partecipò alla battaglia delle Fiandre del 1940: per la bibliografia, cfr. nota 2; per i dati storici facciamo riferimento anche a Shirer (1969). Data la frammentarietà del testo citato, per favorire i riscontri si sono aggiunti i rinvii all’edizione francese (indicata con “fr.”) nei punti fondamentali; salvo diversa indicazione, i corsivi sono nell’originale.

[2]. Cfr. par. 1.5. Varie sono le modifiche rispetto all’autobiografia: cfr. Fletcher (1981), pp. 1211-7, che peraltro afferma: «S. tire ainsi la substance de ses romans de faits et de documents authentiques» (p. 1216). In generale, sull’importanza dell’auto-biografia nell’opera di Simon, si veda il saggio complessivo di Duncan (1994; cfr. anche 1981): centrale il ruolo dell’esperienza della guerra. Cfr. poi il par. 1.5.2.

[3]. La manifestazione del tema è preceduta da un accenno-preludio: «Non sapevo ancora per me sagome grigiastre vaghe attendere silenziose nella penombra verde vestite di cose brandelli informi terrose flosce mandavano quell’acre odore di stanchezza sudore morti di fatica non sapevo» (p. 12; cfr. p. 18 fr.). Ma non sarebbe giusto pensare ad una scena di guerra, perché le «sagome» in questione, già comparse (p. 11; cfr. 16-7 fr.), si riconoscono più oltre (p. 103; cfr. pp.125-6 fr.) come fantasmi immaginati dall’io-bambino, per la suggestione di alcune fotografie, e semmai dei corpi dei malati a Lourdes. Si noti che quasi tutti questi elementi erano già apparsi nelle prime pagine di Histoire (1967), che chiariscono molti punti. Tuttavia il testo della BF non fornisce gli stessi rinvii ai referenti extratestuali.

[4]. Su questo si veda infra. Per il rapporto romanzo-storia e per la bibliografia relativa, cfr. Bigazzi (1996).

[5]. Come in un collage, vengono poi introdotti altri frammenti, alcuni a forte evidenza cromatico-pittorica («i tronconi delle lance rotte gialli o rossi», p. 59: è un accenno ad un’altra scena di guerra, cioè alla Battaglia di S. Romano di Paolo Uccello, che verrà descritta diffusamente più oltre). Poi ancora ricordi, come quello del cavallo morente: «la testa del cavallo [...] l’occhio bruno e lucente [...] un paio di volte ancora le sue gambe agitarsi tendersi fiaccamente come se tentasse di scalciare dopo di che restò definitivamente immobile» (p. 59). Il tema dell’immobilità si connette direttamente a quello della morte. In questa parte si registra la presenza di un altro réfrain «io non soffrivo» (pp. 58-9), legato alla battaglia, che viene poi surrogato da uno simile e opposto «soffrivo come» (p. 60), legato al tema della gelosia e del rapporto d’amore. Cfr. par. 1.3.2.

 

[6]. E poco sopra: «tanta vi: con tanta violenza / Non sapevo ancora…» (p. 64), accenno che introduce il tema della violenza.

 

[7]. Si notino, qui e più oltre, le analogie con l’esperienza descritta nel PJ. Una piccola nota a margine. Tra le «immagini pietrificate» viene ricordata «una mietitrice» (p. 67; «une moissonneuse», p. 83 fr.): una «mietilegatrice» ormai in disfacimento verrà rivista, nella campagna di Farsalo, dal protagonista. È possibile collegare le due immagini, che si corrispondono in un universo memoriale angosciato e immobile (cfr. par. 1.4). Si tratta di un’immagine emblematico-allegorica di ciò che diviene inservibile.

 

[8]. Cfr. Rousset (1981), Jongeneel (1991), e qui l’Appendice. Si veda poi infra per altri riferimenti meno rilevanti, fra i quali quelli ad Alphonse de Neuville, il cui quadro Les Dernières Cartouches costituisce una fonte iconografica per la BF. È opportuno notare che già nella Parte i venivano inserite descrizioni di frammenti pittorici tra i ricordi dell’io: in particolare, un elemento ricavato da Piero è quello delle «alte acconciature che sormontano i volti con strani cilindri» (p. 85), che già era comparso più di una volta. A posteriori, si comprende che anche elementi del quadro di Paolo Uccello erano stati rappresentati (cfr. par. 1.2).

 

[9].  Benché la Battaglia, meglio conservata, costituisca il referente principale,  sembra che all’inizio venga descritto il paesaggio della Vittoria (si veda qui l’Appendice): la precisazione consente di mettere in rilievo che Simon voleva accentuare l’effetto di massima staticità e atemporalità che si rileva nei dipinti di Piero, per creare un contrasto con il finale della sezione, in cui si genera un movimento turbinoso  in relazione ai due quadri di Poussin.

[10]. Vengono anche proposti altri ricordi dell’io, riguardanti la sua solitudine dopo la fuga («non c’era più nessuno sul piccolo campo», p. 88; cfr. p. 76: «non c’era più nessuno neanche sul piccolo campo»); l’arrivo di un cavallo «con la testa alzata l’occhio folle» (p. 89, e cfr. p. 47); la sparatoria di cui l’io stesso è fatto oggetto (pp. 89-90, e cfr. pp. 65-7, dove ricorrono molti dei particolari qui ripresi).

 

[11]. Vari particolari del quadro di Cranach rimandano ad altri precedenti: ad esempio, uno dei guerrieri raffigurati, «ornato d’una barba corta e ricciuta, rossa» (p. 189), ricorda il Guerriero (Parte ii, e più volte ridescritto), che più oltre (p. 201) sarà paragonato al guerriero di Poussin. Ricompariranno poi particolari ricavati dai quadri descritti nella sezione Battaglia. Molto ricorrente il sintagma «Soffrivo come», evidenziato dalla ripetizione-anafora (pp. 18, 60, 69, 139, 141 ecc.) e legato al tema della gelosia. Esso interagisce con il «Non sapevo» (cfr. in specie pp. 58-9, 85), legato invece al tema della guerra-morte. L’unione di questi microelementi conferma quella dei due temi, già notata su altre basi. Per un approfondimento dei legami intertestuali con Un amour de Swann, cfr. Riffaterre (1988), ed Evans (1981; 1988).

[12]. È opportuno un confronto con La strada delle Fiandre (pp. 191-2): «e tutti e due (Corinne e lui [Georges]) perfettamente immobili [...] e assolutamente immobile anche lui». Corinne è (nella Parte iii) ora figlia ora coetanea di O. (in Histoire, era rappresentata bambina). Più oltre, nella BF, pare che i due corpi siano vivi e morti: «il fremito inudibile dei loro respiri, la traccia minerale delle loro forme, ne ricordano l’esistenza [l’imperceptible frémissement de leurs respirations, la trace minérale de leurs formes, rappellant leur existence]» (p. 223; cfr. p. 268 fr.).

[13]. Nei vari frammenti della Parte iii questa legge è stata esemplificata, soprattutto in quelli relativi alla sorte della «mietitrebbia», progressivamente privata di ogni sua parte, inutile come quella vista dopo la battaglia del 1940 (cfr. par. 1.2).

 

[14]. Su questo metacommento, da noi più volte implicitamente utilizzato, cfr. Rousset (1981): bisogna considerare «la marqueterie comme figure spatiale du texte écrit» (p. 1210). Secondo il Littré, «marqueterie» può significare ogni tipo di accostamento di svariati elementi: anche Montaigne definisce così il suo libro.

 

[15]. Cfr. ad esempio Duncan (1981; 1994), Park (1981), e soprattutto Britton (1987) e Jameson (1991), pp. 131 ss.

[16]. Numerosi punti di contatto tra la Strada e la BF si possono ricavare dal bel saggio di Jean Ricardou Un ordine nella disfatta (1967; in Ricardou [1976], pp. 25-37), anche se qui non se ne condividono interamente le analisi linguistiche.

 

 

[17]. Secondo altri, tecnica del bricolage (cfr. Riffaterre, 1988). È comunque importante distinguere tra Leitmotiv (ad esempio, «non sapevo che la guerra»), e tassello (ad es., una scena ripetuta). Il primo può legare elementi diversi, il secondo ripropone con variazioni un’immagine che diviene emblematica.

 

[18]. Si potrebbe instaurare un’opposizione tra la guerra archetipica (BF) e la guerra del singolo (Strada): ma bisogna notare che, in BF, la seconda non scompare (si ripensi alla Parte i), ma viene inglobata in un mondo “fatto di guerra”. Cfr. Duncan (1994); rapide ma penetranti osservazioni in Longuet (1995), che parla del racconto della guerra come di un «désordre sans sujet» (p. 22). Si noti, di passaggio, che si colgono vari collegamenti anche tra la BF e il romanzo Les Corps conducteurs (1971), il cui inizio ad esempio riprende l’immagine di un balletto da music-hall già proposta (BF, p. 92). Ma il tema della guerra vissuta passa in secondo piano.

 

[19]. Cfr. già il capitolo ii, pp. 19-33. Le riprese narrative dagli altri romanzi di Simon sono evidenti in più punti (ad esempio, circa la situazione di immobilità, analoga a quella del finale di BF, cfr. p. 22 e passim; e per altre situazioni qui notate cfr. pp. 67, 71, 73. Si riscontrano però anche delle innovazioni, ad esempio nell’ampia parte dedicata al periodo della prigionia. Per un esame d’insieme si veda almeno Neri (1990).

[20]. Anche nell’ultimo romanzo di Simon, Le Jardin des Plantes (1997), viene riproposto il montaggio di elementi storici (o meglio: della storia ufficiale) e di elementi (auto)biografici, peraltro sviluppati in modo non frammentario.

[21]. Cfr. in generale Goldmann (1964) e Ricardou (1978).

[22]. Cfr. Ricardou (1978), pp. 15 ss.

[23]. Nei romanzi successivi il montaggio diventerà molto più rigido, con minori escursioni verso lo stream, e a volte, specie in Triptyque (1973), proprio per questo più arido.

[24]. L’interpretazione della BF come Bataille de la Phrase, proposta da Ricardou (1970, pp. 226-56), ha certo un suo fondamento sul versante della composizione, cioè dell’elaborazione scrittoria al presente, su cui tanto insiste Simon. Ma bisogna sottolineare che Ricardou esaspera la componente anagrammatica della BF, oltretutto proponendo un’analisi piuttosto ridotta. Per Duncan (1981) «il y a incompatibilité entre le pouvoir créateur des mots et leur prétention à représenter. Plus on se fie aux mots dans la construction du roman, plus il apparaît que, loin de renvoyer à une réalité pré-existante, ils ne renvoient qu’à eux-mêmes» (p. 1197). Ma, nella BF, il gioco linguistico non è un fine, come per altri scrittori dell’Ecole du regard, ma un mezzo per giungere a testualizzare la violenza incontrollabile della guerra stessa. Per un’analisi della scrittura di Simon, cfr. Bertrand (1987).

[25]. Le ricerche più recenti, che propendono a considerare il dipinto del Louvre posteriore agli altri due, non toccano la sostanza del nostro discorso. Cfr., in generale, Casadei (1997), dove è riportata altra bibliografia, qui non riproponibile per costrizioni editoriali. Per una efficace sintesi relativa a Paolo Uccello, cfr. Roccasecca (1997), in particolare pp. 9-29.

[26]. Cfr. Casadei (1997), p. 78.

[27]. Cfr. Casadei (1997), p. 79.

[28]. Nato il 31.5.1836 e morto il 19.5.1885. Fu allievo di Picot (e anche di Delacroix), e si specializzò poi nel genere della pittura militare. Il quadro Les Dernières Cartouches (1872-73) si trova ora al Musée de Bazeilles nelle Ardenne: cfr. Chabert (1979).