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2 maggio 2011

Di admin in: Discussioni

Berlusconi e la letteratura


L’argomento potrebbe essere liquidato in poche battute: il berlusconismo non è una cultura ma un addensato di cattivi costumi, e di sicuro non ha prodotto una riflessione artistica e letteraria (come del resto il leghismo o, salvaguardando la par condicio, i vari centro-sudismi). Ma il punto è: quale cultura dovrebbe essere pensata in Italia per uscire davvero dal berlusconismo? In letteratura, il ‘nuovo impegno’ di Saviano o di molti scrittori, soprattutto di polizieschi o anche di storie controfattuali, sembra l’unica risposta possibile. Ma è davvero così?

In questo momento, di certo, l’opera a favore della giustizia, ovvero di un risarcimento almeno finzionale dei tanti torti prodotti dalla politica e da molti rami degli apparati statali, oltre che dalla malavita ‘normale’, sembra uno scopo necessario per gli scrittori: e a chi si muove in prima linea va una solidarietà incondizionata, quanto a obiettivi di fondo. Ciò non toglie che gran parte della narrativa di successo si muova oggi in Italia in un territorio piuttosto angusto: tra realismi obbligati e invenzioni che hanno lo scopo di svelare i complotti, si perde un po’ l’aspetto della riflessione profonda, autenticamente cognitiva sul reale (compresi i suoi risvolti storico-politici). Anche soluzioni più elaborate, quelle allegoriche riunite dai Wu Ming sotto l’etichetta della New Italian Epic, rispondono a esigenze strumentali e spesso si limitano a un rapporto A > B: scrivo questo sul mondo possibile X, ma tu intendi che si parla di te e dell’Italia di oggi.

Tutto troppo facile. Il che non vuol dire che si debbano cercare romanzi inutilmente elaborati, magari cascami delle vecchie neoavanguardie, o importazioni di modelli già storicizzati, da Garcia Márquez a Pynchon o persino a DeLillo. Bisogna invece chiedersi: come si può pensare oggi a un romanzo che rappresenti non solo l’abiezione del presente, purtroppo ridicola più che tragica, e invece cominci a fare Storia anziché scimmiottamento della cronaca?

Esistono autori che più di altri si sono confrontati con la grande tradizione del romanzo e hanno prodotto analisi dei comportamenti attraverso le azioni quotidiane dei loro personaggi: penso a Siti, ma anche a racconti di Pascale, a molte pagine di Lagioia (e prima al Pontiggia delle Vite o al Cordelli di Un inchino a terra). Ma ci sono spunti importanti di riflessione anche in testi dall’architettura allegorica complessa come Il tempo materiale di Vasta, oppure in scritture in bilico fra narrativa e saggismo, come in Affinati, Arminio o Trevi. E l’elenco potrebbe continuare, anzi inviterei a continuarlo per formare assieme una categoria di opere inseribili in un ‘realismo sperimentale’, diverso da quello sopra indicato.

Però manca ancora lo sforzo per chiudere il circolo fra storia e creazione letteraria. Manca la rivisitazione onirica del fascismo dentro la vita della provincia di un Amarcord. Manca un’ideologia narrativa (chi può ancora sostenere che i romanzi non hanno e non creano idee?) che non sia banalizzante: come non lo era quella di Fenoglio quando rivisitava, nel grandioso Partigiano Johnny, tutti i suoi ideali giovanili e quelli resistenziali, difendendoli strenuamente e insieme vedendone l’insufficienza a giustificare un’intera vita.

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