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4 dicembre 2022

Di Alberto in: Proposte

Un articolo su Beppe Fenoglio


Un ricordo di Beppe Fenoglio pubblicato su “Italiana”, rivista della Enciclopedia Treccani (12, dicembre 2022).

 

Gli stili di Fenoglio

 

A cent’anni dalla nascita, Beppe Fenoglio è considerato ormai uno dei più importanti narratori italiani del secondo Novecento. Eppure la sua attività come scrittore è stata spesso contrastata, tanto è vero che, in vita (morì nel 1963, neanche quarantunenne), è riuscito a pubblicare solo tre volumi, mentre sono rimasti inediti testi che oggi ci sembrano capolavori, come Il partigiano Johnny. Ma quali sono i motivi che ci fanno apprezzare così ampiamente i suoi racconti e i suoi romanzi, in gran parte dedicati alla guerra di Resistenza, ad Alba (sua città natale) e alle Langhe? Al di là degli argomenti, è l’intensità degli stili adottati, diversi di volta in volta ma sempre ben riconoscibili, a rendere ancora incisive le sue storie, a cominciare da quelle scritte subito dopo il 1945, ritrovate fortunosamente nel 1994 e intitolate Appunti partigiani.

Negli Appunti si coglie la ricerca di una terza via tra il racconto cronachistico e la rielaborazione romanzesca, ovvero i principali modi narrativi che si sono affermati nell’immediato dopoguerra per parlare delle vicende resistenziali. Fenoglio risentiva di quella ampia spinta alla narrazione semplice di ciò che era avvenuto, sulla quale poi si è soffermato con la consueta lucidità critica Italo Calvino (uno tra i primi e più convinti sostenitori dello scrittore albese) nella premessa alla seconda edizione del Sentiero dei nidi di ragno (1964). Ma lo sforzo tutto fenogliano era quello di rendere l’azione al presente, quasi che il lettore dovesse rivivere assieme a Beppe le vicende susseguitesi nelle Langhe tra il novembre e il dicembre 1944. È una narrazione a metà tra cinema e teatro, cosicché questo diario romanzato sembra scritto in presa diretta: “Con la sinistra mi cerco in tasca uno zolfino e con la destra un ciottolo in terra. È bruciata bene, la carta. Fatto tutto camminando”. Chi parla manifesta l’euforia del ‘sopravvissuto’ e l’autorevolezza di chi ha scelto la parte giusta, indipendentemente dalle azioni compiute. Il protagonista degli Appunti non è certo un eroe, come non lo sono i suoi compagni, però resta innegabile che questi uomini hanno agito per la loro madre Langa e per la patria intera, contro nemici che in più di un’occasione sembravano dotati di un potere ben superiore. Tuttavia i giovani antifascisti hanno vinto e ora è giusto raccontare le loro imprese.

Potremmo dire che, in questa fase, Beppe partigiano e scrittore si presenta come un io che si sente pienamente parte di un noi: non tutti hanno potuto vivere la lotta partigiana, ma è giusto che tutti conoscano l’accaduto senza censure, viceversa già praticate in molti resoconti. In questo periodo peraltro Fenoglio sperimenta alcuni tipi di letteratura di ascendenza romantica, in particolare tenendo a modello un testo da lui molto amato, Cime tempestose di Emily Brontë, e puntando a mettere in scena, anche per il teatro, un amore contrastato e fortissimo. Quando le due componenti primarie della narratività fenogliana, l’immediatezza e l’assolutezza, cominceranno a fondersi e a interagire, si arriverà ai risultati più alti.

Tra il 1948 e il ’54, Fenoglio segue una via molto personale all’interno della grande nebulosa della letteratura neorealista, sfruttando vari modelli statunitensi specie nella Paga del sabato: un noir in cui il protagonista Ettore, un partigiano che non riesce a inserirsi nella società del dopoguerra, giunge a compiere azioni criminali assieme ad altri compagni e muore improvvisamente proprio quando sembra potersi avviare a una vita piccolo-borghese. Pur essendo stato rifiutato dall’Einaudi nel 1950 ed edito solo nel 1969, il testo è senz’altro di notevole impatto, costituito da scene autonome e ben enucleate: basti pensare a quella iniziale dello scontro di Ettore con la madre, nonché alle varie dedicate alla sua insofferenza nel rapporto con la giovane promessa sposa, in un mondo in bilico tra miseria e malavita.

Ma è nei racconti dei Ventitre giorni della città di Alba (1952) e poi nel racconto lungo La malora (1954) che Fenoglio mette a punto una gamma molto ampia di soluzioni narrative, le quali spaziano dall’eroicomico al drammatico, per esempio nell’intenso Un altro muro, fondato sui dialoghi di due partigiani condannati a morte. Anche nelle vicende degli abitanti delle Langhe, come il giovane protagonista della Malora, Agostino Braida, si coglie il senso di una vita segnata dagli sforzi e dalla sofferenza senza riscatto, che qualcuno addirittura decide di lasciare: e quando Agostino trova il cadavere di un impiccato in un boschetto, è come se l’intera natura fosse travolta da uno sconvolgimento abnorme, quasi fossimo entrati nel paesaggio dell’Urlo di Munch. In una vicenda scandita dal ritmo della natura e della vita agra da forzati della terra, in un certo senso è proprio il darsi la morte l’evento inatteso, quello che paradossalmente segna la possibilità di uscire dalla ‘malora’ in quanto condizione plumbea e avvilente.

Proprio per rispondere alle critiche rivolte alla Malora, in particolare da Elio Vittorini che pure l’aveva accolta nella collana dei “Gettoni” Einaudi, Fenoglio riparte per trovare uno stile ancora diverso, nato questa volta da una completa immersione nell’inglese da lui tanto amato: la prima stesura del “libro grosso”, dedicato al periodo della guerra specie tra il 1943 e il ’45, viene fatta appunto in quella lingua, benché infarcita di termini inventati e calchi dall’italiano (scherzosamente si parla di “fenglese”). Dopo varie rielaborazioni, il risultato sarebbe stato un grande romanzo che avrebbe portato il protagonista Johnny dall’adolescenza di liceale alla morte nello scontro di Valdivilla del febbraio ’45, cui in effetti Fenoglio partecipò vedendo cadere molti suoi compagni. Purtroppo, presso l’editore Garzanti vide la luce soltanto la parte intitolata Primavera di bellezza (1959), che contiene capitoli di altissimo valore, come quelli dedicati alla drammatica situazione seguita all’armistizio (8 settembre 1943), ma viene chiuso con la morte sin troppo precoce del protagonista. Invece, nella parte successiva Johnny avrebbe combattuto a lungo sulle Langhe, con una ferrea coerenza morale e tuttavia nella convinzione che la morte sia l’unico destino possibile per i soldati moderni, sovrastati dalla potenza delle armi e privati della gloria. Il partigiano Johnny narrava appunto, con uno stile epico e sublime, la guerra all’insegna di questa nuova consapevolezza, ma rimase incompiuto e fu pubblicato nel 1968.

I tanti problemi filologici che riguardano questo capolavoro, come molte delle opere fenogliane postume, possono costituire un ostacolo per la lettura, eppure la sua fama è cresciuta nel tempo. Altissima ormai è anche quella dell’ultimo romanzo, Una questione privata, uscito nel 1963, poco dopo la morte di Fenoglio, assieme a altri ottimi racconti come Un giorno di fuoco. Il nuovo alter ego dell’autore è il partigiano Milton, il quale viene a sapere per caso che l’amata Fulvia, ormai lontana, forse si era legata al suo amico carissimo Giorgio; prova allora a rintracciarlo, ma scopre che è stato catturato mentre rientrava al presidio. Inizia così una drammatica ricerca di un soldato da scambiare, durante la quale Milton incontra soldati e uomini comuni, però immersi nelle lotte del 1944, che hanno stravolto ogni certezza della vita pre-bellica. Quando in conclusione il protagonista viene intercettato dai fascisti e deve correre a perdifiato per scampare, nella sua mente nasce questo assurdo pensiero: “Fulvia, a momenti mi ammazzi”. La donna idolatrata si sovrappone ai nemici, quasi si fossero uniti per distruggere Milton. La follia dell’amore e la follia della guerra arrivano a coincidere, e lo stile raggiunge, in questo finale che sembra non arrivare a una fine, un vertice tanto di immediatezza e corposità, quanto di assolutezza e simbolicità. Il miglior Fenoglio sostanzia i destini dei suoi personaggi con la forza di una scrittura che li rende insieme concretissimi e sublimi, all’insegna di una morte sempre imminente.

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